Growth Hacking, sperimentare per crescere – Intervista a Raffaele Gaito
Il primissimo libro che ho aperto e divorato ad inizio 2020 è stato sicuramente Growth Hacking Mindset: non esiste innovazione senza sperimentazione, dell’autore, speaker e blogger Raffaele Gaito.
Parliamo subito del tuo libro e a cosa ci riferiamo quando parliamo di Growth Hacking.
In realtà, se volessimo dare una risposta semplice senza troppi paroloni complessi in inglese, è una metodologia che aiuta a inserire un processo di sperimentazione in azienda. Le aziende che vogliono innovarsi, crescere ed evolversi, hanno bisogno di fare una cosa essenzialmente: testare – testare – testare. Possono farlo o in maniera completamente casuale e randomica, o in maniera un po’ più seria e strutturata. Con degli strumenti di analisi e modelli di supporto questo è il Growth Hacking.
Questo libro, uscito da poco, in cosa si differenzia dal tuo primo libro?
Nel 2017 ne avevo scritto uno che era un po’ più introduttivo e si concentrava più sulla figura del growth hacker che non sul processo. Questo secondo libro è dedicato al processo in se ed è l’unico, in circolazione al momento, che è molto, molto specifico, sul mercato italiano; vi sono casi studio di aziende italiane che fanno di questa roba il loro pane quotidiano, quindi sperimentazione, analisi dei dati ecc, vengono portati all’interno del libro come supporto alla parte più teorica.
Per “sperimentazione” che cosa intendi esattamente?
In realtà il termine “sperimentazione” è volutamente generico e ampio… tu puoi sperimentare in qualsiasi ambito, dai social a nuove funzionalità all’interno del tuo prodotto, o alcune attività del tuo customer care. Molto dipende dalla tipologia di azienda, dal settori in cui si trova e dai suoi obiettivi che vuole raggiungere. Diciamo che la prima cosa da cui si parte in un processo di sperimentazione è capire quali sono le metriche e i parametri che vogliamo andare a migliorare, piuttosto che i dati che non ci piacciono e che vogliamo andare a migliorare. Magari abbiamo trovato all’interno dell’azienda un collo di bottiglia di qualche tipo e ci si concentra con degli esperimenti su quelle cose lì. Ad esempio abbiamo riscontrato un tasso di apertura basso della nostra app? Perfetto! Sperimentiamo esclusivamente su quella cosa, o sui tempi di accumulo nel carrello ecc.
Questo può quindi andare bene anche per chi vuole lavorare sul proprio personal brand? Dall’influencer al libero professionista che sta passando un periodo di stallo con la propria immagine social o professionale e vuole allora andare a migliorare le proprie storie o i feed?
Si certo! Alla fine se noi lo guardiamo come un processo, lo possiamo calzare su qualsiasi progetto, un’azienda, start up o pmi. Anche i liberi professionisti che lo fanno sul personal branding, devono sperimentare di continuo. Il discorso non cambia se non sei un’azienda, anzi, molto probabilmente tu che sei un libero professionista incontri le stesse problematiche e difficoltà di un’azienda, con l’aggiunta che in più sei da solo, hai meno tempo e molto meno budget.
Io personalmente le applico su me stesso sull’online. Questo è perché tutto quello che sto facendo adesso un bel giorno smetterà di funzionare, è proprio matematico, perché cambierà l’algoritmo, aumenteranno i costi della pubblicità, arriverà un nuovo competitor o chissà cosa. Se quando si presenta questa problematica tu non hai pronta un’alternativa perché non hai mai testato, sei tagliato fuori.
Il concetto base della sperimentazione è di farlo prima di averne bisogno, tutti lo fanno quando ormai già le cose stanno già andando male… “Mi calano le visite o il flusso sui social o altro…devo inventarmi qualcosa di nuovo”… In realtà è già tardi, avresti dovuto farlo già prima.
E su TikTok sperimenterai? Per te ne vale la pena come social network? (Io mi sento molto in imbarazzo sul canale, non ho ancora trovato il mood)
La risposta è palesemente ovvia. Io sono per sperimentare sempre. Per ora anche io mi sento in imbarazzo su TikTok, perché non mi sento a mio agio, non comprendo ancora bene i format, gli stili di comunicazione e il target. Ma per tutto è così all’inizio, se ci pensiamo anche su Instagram era il social solo per le foto, Facebook per gli studenti universitari, Linkedin per il CV online… tutti nascono con un obiettivo e uno scopo, poi cambiano nel tempo. Non dobbiamo vedere TikTok com’è oggi, ma come sarà fra 3/5 anni. Ci sono più di 1 mld di utenti lì sopra, un pensierino dovremmo farcelo, iniziare a metterci su qualcosina e pensare a come dare il nostro taglio alle cose, il proprio modo di dare un contenuto a quella piattaforma. Io stesso lo sto facendo e, quando mi chiedono se bisogna aprirlo anche se non sai cosa metterci sopra io dico di “Si, aprirlo l’account e se non sai cosa pubblicare, non pubblicare nulla, però intanto inizia a seguire persone del tuo settore, possibilmente all’estero, e intanto inizi a studiare come funziona per poi a passare al lato del creatore”.
In questa piattaforma c’è spazio per contenuti sulla comunicazione e marketing, esempio contenuti alla Rudy Bandiera, Montemagno, i tuoi e altri?
È il momento in cui sta iniziando. Fino a qualche mese fa l’audience era solo di ragazzini, ma adesso, anche grazie alla sua grande visibilità all’estero, stanno arrivando anche quelli più grandi, ci sono tutti i millenials e quelli un pochettino più grandi. Siamo all’inizio di questa curva e chi arriva adesso prende i primi posti. La vera domanda è in che modo farlo su una piattaforma con dei limiti perché è stata pensata per fare cose diverse, ma, ripeto, tante altre sono nate in un modo e poi sono cambiate ed evolute.