La vita e l’arte che ci scorrono dentro – Intervista ad Andrea Cerrato
È un cantante (o meglio un cantautuber), autore, musicista, grafico e social media manager (per se stesso) e, lasciatemelo dire, una delle persone più simpatiche e alla mano che io abbia mai conosciuto. L’ho intervistato attratta dai suoi magnifici arrangiamenti in italiano di canzoni straniere ma ho trovato di fronte a me una persona che ha la parola ARTISTA tatuata nel cuore: ecco la mia intervista ad Andrea Cerrato.
A chi si occupa di comunicazione, sicuramente il tuo canale salta all’occhio, io ad esempio sono arrivata a te da TikTok. Hai una comunicazione molto grintosa e la tua vocalità è fantastica. A che età hai iniziato a studiare musica e canto?
Allora mi fa strano dirlo, ma direi circa una ventina di anni fa. Ho iniziato relativamente tardi, avevo 15-16 anni e ho iniziato come chitarrista. Ho iniziato a suonare nel 1999 quando c’era ancora la buonanima di MTV, e avevo visto un video di Lene Marlin, Unforgivable Sinner, nel quale aveva stupenda chitarra acustica nera e qualcosa dentro di me ha detto: BOOM, questa è la tua strada, seguila!
Ho iniziato come chitarrista, ho militato in qualche band, dopo un paio d’anni ho iniziato a cantare e soprattutto a scrivere in un inglese maccheronico. Poi ci sono state tutte una serie di esperienze didattiche sia a livello chitarristico che a livello canoro, quindi maestri, docenti e artisti vari. Poi da lì è andata avanti da autodidatta.
Come dicevamo prima salta all’occhio il tuo modo di comunicare, come nasce a tua passione per la comunicazione? Hai fatto dei corsi o anche in questo caso sei un autodidatta?
C’è un bellissimo discorso di Steve Jobs, non ricordo più il periodo ma penso fosse verso la fine della sua vita perché parlava già della malattia… parlava i “unire i puntini”.
Ho iniziato il mio percorso di comunicatore come grafico, perché parallelamente alla mia carriera musicale (dal 2005 al 2015 suonavo in una band) avevo iniziato all’università un master in grafica e avevo iniziato a lavorare in un’agenzia di comunicazione, per la quale ho lavorato per 5 anni. Lì avevo visto nascere i social media; ai tempi nel 2005 c’era MySpace che era una piattaforma che ti permetteva di farti auto-promozione, tanto che con la band avevamo messo il nostro LP in digital download e ci sembrava di aver scoperto la Tesla, capisci? Quindi una roba super innovativa.
In quegli anni le strade sono state abbastanza parallele, nel 2015 mi sono però poi licenziato perché la vita da ufficio non faceva per me, volevo dedicarmi alla musica e alla comunicazione e quindi ho un po’ unito le due cose. La mia abilità di comunicatore è nata didatticamente perché avendo visto nascere i social e facendo il grafico facevo già il social media manager per gli altri, creavo contenuti per gli altri, quindi poi quando nel 2015 queste due professioni sono diventate una sola: ho iniziato a creare i contenuti per me stesso utilizzando tutte le competenze di videomaker, grafico e socia media che avevo acquisito al lavoro.
A proposito dei social, se qualcuno ti vuole cercare ha l’imbarazzo della scelta perché tu sei su TikTok, Instagram, su Spotify ovviamente, ma soprattutto su YouTube dove hai 225 mila iscritti al canale.
Quanto reputi importante avere una forte presenza online? Ma soprattutto, qual è la tua strategia?
Non c’è una risposta precisa sempre. Mi spiego: quando ho iniziato nel 2015 a fare questo lavoro di “cantautuber” si dice oggi, l’idea era di sperimentare, non avevo iniziato subito con una strategia. Volevo vedere come reagivano i social network alla mia musica. Principalmente mi ritengo un cantautore, quindi un professionista di inediti, non volevo farmi conoscere per le cover. Quindi per 2-3 anni ho messo solo materiale inedito, cosa che è molto difficile da far arrivare alle persone se non fai un genere di moda come può essere ora il trapper. Per cui all’inizio volevo solo sondare. Poi alla fine del 2018, quando avevo una serie di singoli che definivano la mia identità ho deciso di allargare il campo. Ho iniziato quindi a studiare YouTube e Instagram perché Facebook era in un momento di calo, per trovare un contenuto che potesse funzione e che si legasse alla necessità di arrivare in fretta alle persone ma rendendomi comunque originale.
Una sera, mentre lavavo i piatti, avevo ancora nelle mani i guanti gialli della Vileda, ho detto “Perché non provo a tradurre delle canzoni?” Ho cercato online se ci fosse già qualcuno che facesse una cosa simile, perché l’idea era nata negli anni ’50 e ’60 e utilizzata dai grandi come Morandi, la Caselli e altri, che prendevano i successi internazionali e li traducevano in italiano ma non letteralmente.
Da lì si è sviluppata una strategia; sono partito da YouTube dove effettivamente è esploso il tutto, insieme ai miei inediti. Poi su TikTok ho iniziato a fare delle traduzioni in italiano di brani famosi di 90 secondi.
Sul tuo canale Youtube specifichi che tutti i tuoi tour li hai organizzati da solo, nel rispetto di quello che ti rappresenta di più, ossia indipendenza e libertà d’espressione. Ma hai fatto davvero tutto da solo? E quali sono state le difficoltà maggiori che hai dovuto affrontare?
Non proprio da solo: ho la fortuna di avere una community abbastanza ampia quindi il tutto si è sempre svolto in maniera bilaterale. Il tutto è nato dopo l’aprile 2016 quando partecipai a “TheVoice”. Lì è stata la mia impennata su Facebook che ho subito cercato di sfruttare proprio chiedendo, tramite un video, se potevo essere ospitato a casa dei fan perché volevo appunto far partire questo tour, dal concerto in piazza, musica per strada e gli house concert.
Quindi per quanto fossi da solo in realtà è nata una co-organizzazione dove la community mi aiutava ad organizzarmi per il concerto, la location, il contesto in cui andava a inserirsi il mio concerto, più tutto quello che era complementare, quindi dove dormire e mangiare.
Questa cosa l‘avevo quindi organizzata il primo anno dopo TheVoice e l’avevo chiamato “La Marea dei Sogni Tour” e l’ho rifatto anche l’anno dopo di nuovo con la stessa modalità. Ed è questo che mi piace dei social, che ti permettono di creare delle cose solo con le persone che ti piacciono e a cui piaci.
Di recente infatti ho avviato una campagna di crowdfunding per finanziare il mio secondo disco, ed è fighissimo perché la gente si sente coinvolta in questa cosa, in questo progetto che io cerco di far trasparire il più reale possibile perché è reale. Prima si parlava di personaggio, è ovvio e normale che sui social devi magari rimuovere qualcosa di te che probabilmente striderebbero sui social. Ed io sono convinto che il futuro dei social, per avere “successo” sia la verità. Purtroppo ad oggi il vero cancro dei social è che c’è ancora troppa finzione e la gente fa ancora difficoltà a discriminare questa cosa. Però è un castello che piano piano sta iniziando a sgretolarsi e si inizia poco per volta a crearsi un’intelligenza verso i social media.
Abbiamo parlato del crowdfunding del tuo ultimo album e infatti da pochissimo è uscito “La vita che ci scorre dentro” che è uno dei tuoi ultimi inediti. Ti va di parlarcene?
“La vita che ci scorre dentro” è un pezzo che è nato nel 2018 dopo una serie di esperienze tra cui quelle di cui parlavamo prima. Mi hanno riempito di vita, nel senso che il contatto con le persone secondo me è fondamentale quando lavori con i social media, se vuoi trasporre quello che fai virtualmente in un contesto reale perché altrimenti non serve a niente ma anzi ti carica ancora di più dandoti nuove idee. Quel brano infatti è stato proprio il frutto di quelle prime esperienze da indipendente.
Parlo del fatto che per diversi anni ho vissuto una certa idea del successo e della vita secondo una serie di stereotipi che ci impone la società: dobbiamo fare determinate cose per ottenere certe cose. In parte le ho ottenute e in parte no, ma in entrambi i casi non ero felice e ho scoperto che la felicità risiedeva in tutt’altra roba, cioè “conoscere ciò che sei e di darti la possibilità di esprimerlo attraverso le tue vocazioni”. Ed è quello che ho cercato di fare e mi ha dato la possibilità di sentirmi realizzato… che non vuol dire che non ci sono difficoltà, attenzione, ma di percepire che quando ami quel che fai la vita ti scorre dentro e le voci che arrivano da fuori perdono importanza e incominci a sviluppare quella sensazione di giustezza verso la vita che secondo me ti rende invincibile perché toglie potere agli altri.
Come ti ha aiutato questo durante la quarantena?
Per me la quarantena è stata la prova del nove, perché negli ultimi anni avevo sviluppato un modo di vivere e di lavorare abbastanza da lockdown, dentro quattro mura. Quindi la quarantena mi ha dato la conferma che quello che ho fatto per me funzionava. Poi io sono in campagna quindi avevo comunque anche la natura dalla mia.
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